I pazzi sono fuori

“. non cercateli qui”. lo spunto e la fiction su Franco Basaglia, trasmessa nei giorni scorsi su Rai 1, il titolo preso in prestito da una vecchia canzone di Vecchioni, l’argomento quello che da sempre affascina e rapisce Matti, pazzi, folli, artisti. sembrano quasi sinonimi.
E per alcuni lo sono.
Perche la follia si colora di tinte diverse in base alle epoche: dono divino o “furor” per gli antichi, stoltezza nel medioevo, genio nel romanticismo, malattia nel Novecento.

Un viaggio alla ricerca di un senso, ma non di un senso esaustivo, della follia.
Un viaggio che non poteva e non potra mai essere completo non solo perche in due ore a volerceli far entrare tutti i pazzi si rischia di diventarci, matti. Ma perche e un campo talmente vasto che si puo solo osservare da lontano, immergendovisi per brevi istanti.

Ad accendere una torcia insieme a me e stato il prof. Antonio Virzi, docente di psichiatria della Facolta di Medicina di Catania, che ha raccontato la sua esperienza nei manicomi, e che ha posto numerosi spunti di riflessione sul senso di una legge rivoluzionaria (la 180, voluta da Basaglia), sulle sue capacita e sulle sue prospettive, oltre che – naturalmente – sulle sue mancanze. Un intervento lucido e scientifico, che ha pero lasciato spazio anche alle emozioni, che ha anche posto l’attenzione sulla malattia, che non ha niente a che fare con il genio o la creativita tanto cari ai romantici.

E poi un’immersione nella letteratura, nell’arte, nelle parole di chi – grande – ha sofferto di schizofrenia, nevrosi, depressione, disturbo bipolare, e che ha trovato anche il modo per raccontarla.

Merini, Van Gogh, Woolf, Plath, Campana, Kafka, Munch, Nash, Hemingway, Sexton, Nietzsche, Newton, Rimbaud. Un percorso di parole, di immagini, di colori che si sono intrecciati alla malattia, ma che, pur non vincendo su di essa, l’hanno trasfigurata.

E ancora l’intervento del dott. Fortunato Fimognari, che ha raccolto in un libretto impareggiabile, alcune poesie di internati “Voci dal chiuso”.

Ma ci sono anche i matti senza nome, lontani dai riflettori, invisibili, sconosciuti, che non hanno lasciato libri o dipinti. E a uno di questi ho dato la mia voce e un nome che non era il suo, ma con cui tutti, in paese, lo conoscevamo: Benny.

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