La creta tra le mani del vasaio

Una chiacchierata intensa e appassionante con Mavie Parisi, autrice del romanzo “E sono creta che muta”, spunto per parlare di abbandoni, di chat come schermo intimo, di epica del quotidiano, di dipendenze emotive. Per Roland Barthes oggi e piu indecente parlare di sentimenti che di sessualita.
E quando, all’interno di questa caleidoscopica sfera, ci si imbatte negli abbandoni e nelle dipendenze emotive il terreno diventa sdrucciolevole, e si rischia di scivolare nel sentimentalismo e nel lacrimevole.

Eppure martedi abbiamo parlato di tematiche emotivamente impattanti senza mai cadere o anche soltanto “pattinare”.

Lo spunto e stato il libro E sono creta che muta (Perrone Lab) di Mavie Parisi, alla sua prima prova letteraria, che indaga nelle pieghe di un mondo conosciuto e attraversato, ma di cui forse continuiamo a restare in superficie: chi abbandona e sempre “carnefice”? E come vivra, d’ora in avanti, l’abbandonato? Come potra riscrivere la geografia del proprio corpo, delle proprie emozioni, della propria casa? Chi vedra riflesso nello specchio? Chi si e amato diventera un passante senza nome?

Grazie al supporto di teorie e ricerche psicologiche e sociologiche, pezzi musicali “concettuali” e ritagli di vita travestiti da opinione, ci siamo soffermate sul mondo virtuale delle chat e dei social network che espongono e proteggono allo stesso tempo, sull’arte come chiave di volta, sull’epica delle piccole cose, della quotidianita, sul tempo interiore e quello esteriore – kairos e kronos – ma anche sulle differenze di genere, maschile e femminile, nel gestire una crisi e un abbandono, scavando nelle trame di un libro affascinante e contemporaneo.

E non e stato difficile comprendere che Kita Narea, la protagonista, non e solo un’ “eroe donna”, come ama definirla l’autrice, ma e anche – e soprattutto – una parte di ciascuno di noi, uomini o donne, una rappresentazione non mitica ma fortemente reale di un io collettivo.

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